Ago 2, 2023 | BAGINBOX, BIRRA, SFUSO, VINO
Oggi in Italia più del 30% dei clienti delle pizzerie abbina una birra al piatto più famoso d’Italia: accostamento che, con queste proporzioni, avviene solo nel nostro paese.
Ma sappiamo perché? Da dove deriva questa usanza, che da un punto di vista “digestivo” non è proprio il massimo?
La pizza, in particolare quella napoletana, nasce intorno al ‘700, come piatto popolare e semplice. Nei tanti racconti del tempo sulla città di Napoli, (leggi Matilde Serao) la pizza è sempre accompagnata dal vino, bianco in particolare. Se pensiamo ad un’altra forma d’arte, la pittura, il fiaschetto di vino impagliato è onnipresente: vedi i dipinti di Salvator Rosa, oltre ai maestri dell’arte presepiale napoletana che hanno creato la statuetta dedicata. Il vino è l’accompagnamento a tutto, che sia pasta, pizza o mozzarella, almeno fino agli anni ‘50.
Poi, cosa è successo?
Nel dopoguerra, se volevi mangiare una pizza in pizzeria dovevi necessariamente accompagnarla con semplice acqua, poiché non era concessa la possibilità di vendere bevande alcoliche. Quando venne autorizzata e diffusa una licenza, negli anni Cinquanta, si diede l’opportunità di commercializzare questo tipo di bevande, ma solo sotto gli 8 gradi.
Siccome la pizzeria era il luogo d’elezione per le famiglie che nel fine settimana volevano regalarsi una cena fuori a buon mercato, la birra divenne la bevanda più richiesta anche perché meno costosa della bottiglia di vino, sia per il ristoratore che per il cliente finale.
Possiamo dire che pizza e birra fu l’espressione più popolare della ristorazione nel boom economico: anche i meno abbienti potevano consumare un pasto completo al ristorante.
E poi c’è il caso Birra Peroni: l’azienda, originariamente lombarda, dagli anni ‘20 ha iniziato l’ascesa che l’ha portata ad essere il primo marchio della penisola: nel 1953 inaugura la nuova fabbrica di Napoli, spingendo forte sul pedale della pubblicità in modo da associare il marchio della birra alla ristorazione partenopea. Gadget, doni, sconti: la Peroni diventa una birra “napoletana” e, ancora oggi, in tante pizzerie storiche della città troviamo i regali che abitualmente ricevevano i ristoratori.
Ma “pizza e birra” fa male?
No. Altrimenti non sarebbe da settant’anni l’uso comune. Va però detto che una pizza il cui impasto non è maturato abbastanza (i ritmi dei locali di questo tipo impongono velocità), in “coppia” con una birra spillata male (come avviene nel 90% delle pizzerie) non produce effetti benefici sulla nostra digestione.
Noi (che vendiamo anche birra) vi diciamo solo: provate un bel bianco ghiacciato in abbinamento ad una margherita in una sera d’estate, un bel Vermentino sardo ad esempio, poi tornate a riferirci com’è andata. Non abbiamo dubbi su quello che ci direte.
Qui di seguito alcuni esempi del vino da scegliere con alcune famosissime pizze (che trovate da noi sia SFUSI che in bottiglia con etichetta), ma tenete sempre presente le seguenti regole:
Pizze rosse: compensare l’acidità del pomodoro con vini leggeri e morbidi.
Pizze con formaggi: abbinare un vino di media struttura in cui la freschezza acida è più pronunciata per contrastare il grasso, oppure una bollicina.
Pizze molto saporite: come quelle a base di salumi, capperi o alici, devono accompagnarsi con vini più strutturati.

- Pizza Bianca (e ai formaggi)
Della margherita abbiamo detto, il pomodoro è acido quindi vini morbidi.
Una pizza bianca al contrario, magari se condita con latticini e formaggi grassi, si presterà maggiormente a un abbinamento con vini bianchi e spumanti con maggiore acidità, freschezza e intensità aromatica, affinché la componente acida del vino possa armonizzarsi e bilanciare la grassezza degli ingredienti.
Un vino bianco del Collio, un friulano ad esempio, può essere per esempio.
Qui andiamo senza alcun dubbio su un Pinot Nero, magari della cantina Calatroni di Montecalvo Versiggia. Un abbinamento classico che bilancia, grazie alla freschezza tipica del vitigno, la sapidità e la grassezza del salume parmense. L’aromaticità del Pinot può anche essere perfetta per altri ingredienti a livello di salume, in particolare quelli affumicati. Un altro prodotto che possiamo consigliarti è certamente il nostro Gutturnio mosso della cantina Daturi, una garanzia se cerchi un rosso “rurale”.
Un ottimo abbinamento di vino e pizza con le acciughe può essere una bella Falanghina del Sannio, disponibile alla Cantina Liquida sia sfuso che in bottiglia: la sapidità iodata e la struttura del vino si integrerà per concordanza con la sapidità degli ingredienti senza introdurre eccessive estranee note aromatiche che coprirebbero l’identità della pizza. Inoltre, l’acidità naturale di un vino bianco o una bollicina spumante può smussare al palato l’eccessiva sapidità delle acciughe e dei capperi.
Come abbinare pizza ai funghi e vino? La leggera acidità data dal pomodoro può chiamare un rosso dai tannini morbidi e vellutati come il Raboso, inoltre i profumi di sottobosco e more di rovo tipiche del vitigno veneto, si sposeranno perfettamente in una festa silvestre insieme al fungo.
Una pizza ricca di ingredienti e grassezza ha bisogno di un vino di struttura ma anche dritto, che faccia da contraltare con una buona fresca acidità e un’intensità aromatica. Ti consigliamo il nostro Refosco dal Peduncolo Rosso di Magnolia, disponibile sfuso o in bottiglia. Un vitigno che amiamo molto, e che ci dona sempre grandi soddisfazioni non banali, specialmente al palato.
- Pizza Gorgonzola e Salame Piccante
Anche un abbinamento con una pizza potente… Sicuramente uno spumante metodo classico può mitigare la sapidità del gorgonzola con una bella sferzata aromatica e una grande freschezza: qui consigliamo il nostro Incanto Liquido, un bel metodo classico a base riesling che sarà in grado di lavare perfettamente le nostre papille gustative, preparandole al prossimo goloso boccone.
- Pizza Salsiccia e Friarielli
In questo caso avremo bisogno di un vino caldo e di struttura che tenga testa a degli ingredienti così saporiti, un vino con un palato morbido e avvolgente saprà bene armonizzarsi facendo da contrasto anche il leggero amaro dei friarielli. Qui non abbiamo dubbi: il Cannonau di Sa Defenza, un rosso pazzesco e artigianale che saprà farvi innamorare al primo “sniff”.
Buona pizzata!
Nov 5, 2022 | BOTTIGLIA, VINO
Tanti clienti ci chiedono di spiegare il significato di “metodo ancestrale” quando si parla di bollicine.
Pét-nat è un’abbreviazione di pétillant naturel, la cui traduzione può essere ricondotta a “naturalmente frizzante”.
Siamo tutti abituati, bevendo vini convenzionali, a considerare una “bollicina” o uno “spumante un vino prodotto con:
- Metodo Classico, o Champenoise, ossia un processo di produzione di vino spumante che consiste nell’indurre la rifermentazione dei vini in bottiglia attraverso l’introduzione di zuccheri e lieviti selezionati (liqueur de tirage). E’ il caso di un Franciacorta.
- Metodo Martinotti, o Charmat, ossia un procedimento atto a produrre vino spumante mediante la rifermentazione in un grande recipiente chiuso chiamato autoclave. E’ il caso di un Prosecco.
Ci dimentichiamo però una cosa fondamentale, ossia le nostre origini in campo vitivinicolo: ecco che incontriamo i vini prodotti con Metodo Ancestrale.
Parlando della produzione di vino in generale, durante la fermentazione alcolica, i lieviti trasformano lo zucchero che si trova naturalmente nell’uva in alcol e CO2: nei vini fermi l’imbottigliamento avviene dopo che i lieviti hanno terminato la fermentazione, mentre negli spumanti metodo classico i vini fermi vengono imbottigliati con zucchero e lieviti e rifermentati in bottiglia così da intrappolare le bollicine ed ottenere un prodotto gasato.
Il pét nat è un vino che viene imbottigliato durante la fermentazione. Ma da dove vengono le bollicine? La risposta è semplice, esclusivamente dagli zuccheri dell’uva!
Possiamo dunque considerarlo un ibrido tra le due lavorazioni? Sì, perchè viene imbottigliato mentre sta ancora subendo il suo primo ciclo di fermentazione. I francesi chiamano questo processo methode ancestrale.

Il torbido degli ancestrali (nella foto Ehi Girl dei Wine Negociant Old Boy dopo imbottigliamento)
E’ stato certamente il metodo adottato dalla notte dei tempi dei vini gasati, quando le temperature in cantina non erano controllabili: dopo la vendemmia, indicativamente ad ottobre, si produceva il vino dando il via alla prima fermentazione; nei mesi invernali questa subiva un blocco poiché i lieviti, inibiti dalle basse temperature, smettevano di mangiare gli zuccheri. Quando riprendeva la fermentazione? In primavera, quando il clima diventava più mite e le temperature iniziavano a rialzarsi.
Cosa importante da sapere! Rispetto agli altri spumanti, l’ancestrale è imprevedibile, non avendo alcun controllo sulla fermentazione in bottiglia! Anche volendo provare a standardizzare il procedimento, sappiate che ogni bottiglia sarà leggermente diversa dalle altre.
> Un vino Pét Nat potrebbe risultare un po’ abboccato quando molto giovane, ma col tempo gli zuccheri cederanno il passo, e il prodotto risulterà via via più secco.
> Allo stesso modo il perlage, inizialmente grossolano, tenderà a raffinarsi con l’invecchiamento (consigliamo in ogni caso la beva entro un anno dall’acquisto)

Sui Lieviti Plus, di Orsi – Vigneto San Vito
Perché acquistare un metodo ancestrale? Beh, prima di tutto sono vini divertenti, si può giocare mescolando il fondo torbido prima di aprirli . Poi sono generalmente leggeri, adatti al consumo come aperitivo o con piatti leggeri, sono l’ideale per la cucina fusion!
Visita il nostro shop on line alla voce “bolle non convenzionali” oppure vieni in negozio per scoprire il nostro assortimento! https://shop.turas.store/collections/vini-in-bottiglia
Per questo Natale troverai una novità, un Metodo Ancestrale prodotto in esclusiva per Turás da un amico vignaiolo da uve Garganega e Merlot (vinificato in bianco)!
Passa da noi dopo il 15 novembre!
Ago 7, 2022 | BAGINBOX, BOTTIGLIA, SFUSO, VINO
Premessa.
Noi di Turás siamo un po’ estremi a volte, e anche dei viziosi. Le convenzioni ci vanno strette: leggerete qui alcune pratiche non necessariamente “di costume”, ma se ci piacciono beh, noi continuiamo a farle.
Per motivi culturali, gran parte delle persone abbandona i rossi d’estate in favore di bevande considerate più rinfrescanti; anche i rosati e i bianchi risentono di questa abitudine, anche se proporzionalmente meno. Sebbene l’Osservatorio Vinitaly ci conferma che quasi il 90% degli Italiani beve vino senza pensare alla stagione, sappiamo che le quantità diminuiscono durante l’estate. Il fatto è che la birra negli anni ha preso il sopravvento in fatto di marketing e di costume come bevanda alcolica estiva per il fatto che venga bevuta molto fredda (ricordiamo la celebre “frittatona di cipolle, famigliare di Peroni gelata e rutto libero”).
Ma i più inossidabili amanti del vino sanno come consumare questo prodotto al meglio anche nelle giornate più calde.
Iniziamo con la prima “provocazione”.
Pensiamo ai nostri nonni. In Emilia la cultura del “mès vén”, una parte di vino e una di acqua fresca, era la bibita dell’estate; nella variante rossa si diluivano lambrusco, acqua e limone per i contadini assetati nei campi. E noi vi assicuriamo che annacquare un bel bianco fermo importante risulta veramente un’esperienza antica, dissetante poco alcolica. Conoscete la nostra predilezione per i vini del territorio, come del territorio è questa usanza: una bella malvasia di candia naturale si presta perfettamente al servizio, perchè non spillata da un comodo bag in box?.
Vogliamo essere più mondani? Ricordando che l’estate da sempre rappresenta l’allegria, la voglia di evadere, libertà, divertimento, optiamo per scelte che richiamino queste caratteristiche: briosi, dinamici (bio), giovani e pieni di vitalità. Le nostre “bolle non convenzionali” sono perfette per queste occasioni
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D’altronde anche i francesi hanno i Vin de Soif, vini da “bordo piscina”: agili, leggeri che fanno di bevibilità e la freschezza il cavallo di battaglia.
Non ci piacciono i metodi precisi, i codici standard: eccoci dunque con la seconda “provocazione”: il rosso come vino dell’estate? Perché no? Basta sapersi orientare.
1° accorgimento: pochi tannini, quindi vini mediamente poco allappanti e strutturati, di corpo medio/basso.
2° accorgimento: temperatura di servizio. Partiamo dal presupposto che il rosso non va mai servito a temperatura ambiente, ma di cantina (intorno ai 18°C), in estate possiamo scendere tra gli 11 e i 15°C. Certamente ideali vini come il Lambrusco per rimanere in zona e optare per un mosso, oppure un Pinot Nero poco strutturato, se amiamo i fermi. Perfetto per l’estate è la Schiava trentina (da noi disponibile anche sfuso della cantina Zanotelli), fruttato e leggero e ideale anche per i piatti di pesce. Proseguiamo con i rosati del Garda, come il nostro biologico della Cantina di Riva o con una chicca, il Rossese di Selvadolce, vino biodinamico ligure eccezionale anche nelle versioni più strutturate. Chiude la rassegna il Frappato, autoctono siciliano disponibile da Turás anche sfuso biologico.
3° accorgimento: calici non troppo ampi, per non disperdere il fresco.
Concludiamo con la terza “provocazione”, che farà storcere veramente il naso ai puristi: il ghiaccio nel vino.
Sì, perché per noi in certe circostanze il vino diventa una bibita.
Provate, e poi ci dite, coi vini giusti. Una bolla bianca locale come ad esempio un ortrugo, un rifermentato veneto come una garganega o una durella, oppure un lambrusco.
Poi, se ci dite che “non si fa”, e avete bisogno di sapere che qualche big ha sdoganato la cosa, vi diamo noi la notizia: Moët & Chandon lo fa con lo champagne.
Ricordate: il ghiaccio non annacqua il vino, ma mantiene viva la bollicina.
Dimenticate le convenzioni e fate ciò che più vi piace.
Ciao
Apr 6, 2022 | BAGINBOX, BIRRA, VINO
La domenica successiva al primo plenilunio della stagione primaverile è il giorno di Pasqua, ed ogni anno cambia data. Tempo di pranzi, apertura della bella stagione e banchetti luculliani in compagnia all’aperto, specialmente con l’allentamento delle restrizioni che ben conosciamo.
Si inizia a pensare a quali piatti preparare, come presentarli… noi invece pensiamo prima al vino. Tanto lo sappiamo, a Pasqua o è tradizione, o è griglia.
Abbiamo pensato che quest’anno, almeno sul vino, si può cambiare e proporre qualcosa di diverso, di naturale e sostenibile: alla fine dei nostri pranzi saremo sazi, stracolmi, devastati come sempre: almeno però non avremo ingerito sostante artificiose e deleterie per l’organismo, niente mal di testa o bruciori di stomaco causati dal vino e avremo fatto del bene all’ambiente!
Il vino è da sempre simbolo di socialità, dello stare insieme e dell’allegria: perché rovinare tutto per non aver scelto bene??
Più che piatti, abbiamo voluto parlare di ingredienti in abbinamento ai nostri vini naturali.
Agnello o capretto
Saporita, tenace, potente, ecco gli aggettivi per questa tipologia di carne. Di vini per questo prodotto ce ne sono tanti, certamente il consiglio cade su un Montepulciano biologico della cantina Paride D’Angelo, disponibile sia in bottiglia che in Bag in Box o sfuso: un prodotto tradizionale con un brevissimo passaggio in legno. Anche il Syrah Bio di Valdibella, sebbene più rotondo, tira fuori il carattere speziato e si sposa alla perfezione
Piatti a base di Uova
Con le uova MAI il rosso, dicono.
In realtà, tutto dipende da come le cucini: noi siamo per i vini mossi, come l’Ortrugo della cantina Daturi o il Rosè a base merlot di Paolo B., specialmente se il tuorlo rimane crudo e c’è bisogno di “grattare” la patina oleosa che si crea sulla lingua. Se le uova sono fritte, serve un bianco aromatico come il nostro Gewurztraminer trentino sfuso o quello in bottiglia di Aldeno, prodotto biologico super. Quando il rosso? Se l’uovo è in camicia, basta non esagerare coi tannini ed affidarsi ad un Pinot Nero bio di Calatroni.
Piatti a base di Asparagi
Ortaggio tipicamente stagionale, l’asparago è considerato un nemico del vino. Forse con alcuni rossi, quelli più tannici, l’amaro di questo ingrediente si scontra davvero. Meglio evitare allora, e proporre un bel bianco strutturato, come un pinot bianco di Calatroni, un gewurztraminer o un bel riesling, disponibile sia fermo che rifermentato. Se passate da noi, ricordate di provare il nostro Pinot Macerato, anch’esso disponibile sfuso! O il vermentino naturale di Sa Defenza in Sardegna.
Uova di cioccolato
Qui va fatta una distinzione: se il cioccolato è al latte, tipico perché amato dai più piccini, allora serve serve un bianco fruttato, ricco, come la Malvasia di Candia tipica delle nostre colline, quella della Cantina Cerdelli, ad esempio.
Se il cioccolato è fondente, almeno 70% di cacao, allora serve un vino dolce che bilanci l’amarezza: un verduzzo per rimanere sul semplice, un Vin Santo DOC di Gambellara della cantina Marchetto se si vuole spingere sull’acceleratore: 18 mesi di botte in secondo passaggio, note di mango, papaia, cedro candito, albicocche sciroppate, poi toni iodati, minerali e fumè.
Per gli amanti del cioccolato bianco? Qui occorre una bolla, e il nostro consiglio cade certamente sul Pas Dosè di IoMazzucato, secco al punto giusto da sgrassare un prodotto come questo: ricordate solo di aspettare qualche minuto dopo averlo versato nel calice.
Mega-Grigliate Pasquali
Da Pasqua in poi, si sa, le grigliate iniziano a riempire tutti i giardini d’Italia.
Per le carni rosse è preferibile scegliere un vitigno che produca un vino strutturato con buon equilibrio di alcolicità e tannino. Validissimi esempi sono il nebbiolo, la barbera o il sangiovese.
Da Turàs trovi questi prodotti anche sfusi, come i prodotti di Castellina in Chianti di Buondonno o vini della Valpolicella come quelli della cantina di Gnirega, tutti produttori che prediligono metodi naturali e rispettano l’ambiente.
La regola potrebbe essere questa: più aumenta la succulenza della carne (intesa come quantità di liquidi presenti in bocca dovuti alla salivazione durante la masticazione) più saranno necessari un tannino e un’alcolicità importanti nel vino.
Se le grigliate sono di pollame, dritti su un rosso scarico: la Schiava della Cantina Zanotelli della val di Cembra sembra creato apposta!
Per la carne di maiale la forte componente grassa può essere “ripulita” in bocca con vino frizzante, la Croatina è perfetta sia nella sua variante in purezza (leggi “Bonarda”) che nella sua variante tagliata con la barbera (leggi “Gutturnio”).
Per gli amanti della birra che dire… la BIRRA SFUSA nelle varianti HELLES, PILS e KELLER NON FILTRATA le trovate solo da Turàs, ma ricordate: PRENOTATELA con un WhatsApp al 3394506935 o chiamando lo 0521882561!
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Mar 17, 2022 | VINO
Il Bag in Box è un contenitore per liquidi alimentari inventato e brevettato negli anni ’50 negli USA. E’ formato da una scatola (BOX) solitamente di cartone, ancor meglio se riciclato, di varie forme e misure che serve per proteggere e contenere una sacca alimentare (BAG) con termosaldato un rubinetto per l’erogazione: quest’ultimo è il “cuore” di questo contenitore innovativo perché permette la fuoriuscita del liquido ma non l’ingresso dell’aria.
L’utilizzo di questo contenitore per il vino è cominciato in anni abbastanza recenti, inizialmente per il mercato Nord Europeo e successivamente anche in Italia dove la sua penetrazione è stata all’inizio complicata da fattori di tradizione (legata ovviamente all’uso delle bottiglie in vetro per il “nettare di bacco”) e di diffidenza: spesso in questi contenitori sono stati confezionati vini di basso e bassissimo livello.
Scelta ben diversa da quella di Turàs – Cantina Liquida, che seleziona esclusivamente piccole realtà agricole e artigianali che lavorano nel rispetto della vite, del prodotto e dell’ambiente riducendo al minimo l’utilizzo di pesticidi e additivi.
Ma quali sono i vantaggi del BiB?
- la sacca viene colmata di vino senza che l’aria rimanga al suo interno e durante lo svuotamento, grazie allo speciale sistema di cui è fatto il rubinetto e alla flessibilità del materiale della sacca, esce solo il liquido senza che l’ossigeno penetri. In questo modo si elimina la possibilità dell’ossidazione e dalla presa di “spunto”, tipici problema che si riscontra invece nel vino conservato nelle bottiglie aperte. Quindi il Bag in Box risulta ad oggi il miglior contenitore sul mercato per i vini di uso quotidiano, permette di mantenere sempre il vino “pronto all’uso” anche per un consumo saltuario e sporadico.
- Per quanto riguarda la scatola (il Box) anche qui i vantaggi sono innumerevoli. Protegge il sacco dallo schiacciamento dagli urti e dai tagli, è impilabile protegge il vino dagli sbalzi di temperatura e dalla luce e non ultimo è un’ottima soluzione per le spedizioni con i corrieri che per quanto riguarda la spedizione delle bottiglie obbligano ormai ad imballi speciali e molto costosi.
- I benefici “pratici” dove li vogliamo lasciare? Un cartoncino riciclato e una busta riciclabile rispetto a 6 bottiglie munite di tappo? Così come l’ambiente, che può solo ringraziare!
- Veniamo infine ai formati: per il vino i 2 più usato sono il3 litri e il 5 litri che corrispondono rispettivamente a circa 4 bottiglie e 6 bottiglie di vino, adattissimi ad un “uso domestico” .
Come si usa il bag in box?
L’utilizzo del bag in box è molto semplice.
Per aprire e rendere operativo il bag in box è necessario rimuovere il dischetto di protezione, ricavato dal cartone perforato.
Una volta rimosso il dischetto prendere il rubinetto e portarlo in posizione corretta (esterno al bag in box e ben orientato).
Non resta che posizionare il bag in box in una posizione che dia spazio a bicchieri e brocche.
Premendo il pulsante posto nella parte superiore del rubinetto, il vostro bag in box spillerà la quantità di vino desiderata.

I BiB di Turàs si conservano anche per un anno da chiusi, basta che riposino in luogo fresco e asciutto.
La forma del bag sta perfettamente nel frigo! Questo è il modo più corretto per conservarlo da aperto: dipende dalla tipologia, ma generalmente per due mesi rimane perfetto e inalterato. Gli Spirits invece durano circa 4 mesi dall’apertura.
Avrete capito che il BiB è il contenitore perfetto per i vini naturali!
Ma attenti! Non ama gli sbalzi termici.
Gen 31, 2022 | VINO
Se ne sente parlare spesso ma difficilmente si fa chiarezza, anche perché a tanti nel settore del vino fa comodo così.
Responsabili di allergie e di fastidiosi mal di testa, sono tra gli additivi più chiacchierati: stiamo parlando dei solfiti, composti chimici derivati dallo zolfo, presenti naturalmente in molti alimenti e che altrettanto naturalmente vengono prodotti durante la fermentazione delle uve.
Il vino senza solfiti, dunque, non esiste.
Alcune curiosità:
- I vini bianchi hanno mediamente più solfiti rispetto ai vini rossi.
- I vini passiti (e quelli dolci in generale) sono quelli che contengono più solfiti in assoluto.
- Nei vini rossi, specie se invecchiati, il livello di solfiti è mediamente piuttosto basso.
- Parte dei solfiti svaniscono nell’istante stesso in cui si apre la bottiglia.
Perché vengono utilizzati questi composti?

I solfiti vengono usati come conservanti e si trovano non solo nel vino, ma anche nella frutta secca, nel pesce congelato, e in tanti altri alimenti. Tutti gli additivi indicati con le sigle comprese tra E220 ed E225 sono solfiti. Il loro scopo principale è rallentare lo sviluppo dei microbi e il corretto mantenimento dei prodotti; non provocano effetti gravi nell’immediato, a meno che non si sia allergici, se non mal di testa e di stomaco, ma possono portare problemi se si accumulano nel nostro organismo (cosa del tutto normale visto che il vino è bevanda quotidiana). Nei casi più gravi possono portare anche a broncospasmi, specie nei soggetti asmatici.
Nella produzione di vino si utilizza l’anidride solforosa che seleziona le cariche batteriche. È grazie ai solfiti che i vini si conservano mantenendo intatte le loro caratteristiche: un uso moderato, secondo la stragrande maggioranza degli enologi, ha un impatto positivo sulle qualità del prodotto e non dà problemi al consumatore, come dice la legge:
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ne indica la Dose Giornaliera ammissibile in 0,7 mg/kg di peso corporeo.
La normativa fissa il limite massimo di 200 mg/l per i vini bianchi e di 150 mg/l nei vini rossi, che riguarda la solforosa totale.
In regime biologico i limiti scendono rispettivamente a 150 e 100 mg/l.
Dunque i solfiti servono oppure no? Fanno male o sono tollerati? Ognuno può farsi la sua idea.
Per noi è importante che l’anidride solforosa venga impiegata esclusivamente in fase di imbottigliamento, come funzione antisettica e antiossidante, prevenendo lo sviluppo e la moltiplicazione di microorganismi indesiderati e riducendo i rischi legati all’ossidazione del prodotto nel tempo. Aggiungerla nel momento di arrivo delle uve in cantina significa invece considerare “indesiderati” i lieviti indigeni presenti sulla buccia del frutto, necessari invece per produrre un vino realmente sincero e territoriale.
A nostro avviso, meno solforosa c’è nel vino, meglio è per la salute del consumatore, per la qualità e tipicità del prodotto, a patto che a guidare la produzione ci sia uno staff “con il manico”.
Monitoriamo dunque la presenza dei solfiti, ma non facciamone un’ossessione.
E’ sempre la quantità a fare il veleno.

BERE IN MANIERA SANA E’ POSSIBILE, e i fattori da considerare non sono solo legati alla solfitazione. La gestione della vigna, del terreno e di tutte le variabili possono influire anche in modo più sensibile sul prodotto.
Ne parleremo nei prossimi articoli.
Ciò che importa sapere è che le cantine che scegliamo per voi, sia per il vino sfuso che per quello “etichettato” (a prescindere dalle certificazioni a lotta integrata, biodinamiche, naturali, biologiche etc) lavorano con una quantità di solfiti ampiamente al di sotto delle regolamentazioni previste dalla normativa, fino ad arrivare anche a prodotti “senza solfiti aggiunti”, con una quantità minore o uguale 10 mg/l.
Alla salute!
Turàs – Cantina Liquida