Se ne sente parlare spesso ma difficilmente si fa chiarezza, anche perché a tanti nel settore del vino fa comodo così.

Responsabili di allergie e di fastidiosi mal di testa, sono tra gli additivi più chiacchierati: stiamo parlando dei solfiti, composti chimici derivati dallo zolfo, presenti naturalmente in molti alimenti e che altrettanto naturalmente vengono prodotti durante la fermentazione delle uve.

Il vino senza solfiti, dunque, non esiste.

Alcune curiosità:

  1. I vini bianchi hanno mediamente più solfiti rispetto ai vini rossi.
  2. I vini passiti (e quelli dolci in generale) sono quelli che contengono più solfiti in assoluto.
  3. Nei vini rossi, specie se invecchiati, il livello di solfiti è mediamente piuttosto basso.
  4. Parte dei solfiti svaniscono nell’istante stesso in cui si apre la bottiglia.

Perché vengono utilizzati questi composti?

I solfiti vengono usati come conservanti e si trovano non solo nel vino, ma anche nella frutta secca, nel pesce congelato, e in tanti altri alimenti. Tutti gli additivi indicati con le sigle comprese tra E220 ed E225 sono solfiti. Il loro scopo principale è rallentare lo sviluppo dei microbi e il corretto mantenimento dei prodotti; non provocano effetti gravi nell’immediato, a meno che non si sia allergici, se non mal di testa e di stomaco, ma possono portare problemi se si accumulano nel nostro organismo (cosa del tutto normale visto che il vino è bevanda quotidiana). Nei casi più gravi possono portare anche a broncospasmi, specie nei soggetti asmatici.

Nella produzione di vino si utilizza l’anidride solforosa che seleziona le cariche batteriche. È grazie ai solfiti che i vini si conservano mantenendo intatte le loro caratteristiche: un uso moderato, secondo la stragrande maggioranza degli enologi, ha un impatto positivo sulle qualità del prodotto e non dà problemi al consumatore, come dice la legge:

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ne indica la Dose Giornaliera ammissibile in 0,7 mg/kg di peso corporeo.

La normativa fissa il limite massimo di 200 mg/l per i vini bianchi e di 150 mg/l nei vini rossi, che riguarda la solforosa totale.

In regime biologico i limiti scendono rispettivamente a 150 e 100 mg/l.

Dunque i solfiti servono oppure no? Fanno male o sono tollerati? Ognuno può farsi la sua idea.

Per noi è importante che l’anidride solforosa venga impiegata esclusivamente in fase di imbottigliamento, come funzione antisettica e antiossidante, prevenendo lo sviluppo e la moltiplicazione di microorganismi indesiderati e riducendo i rischi legati all’ossidazione del prodotto nel tempo. Aggiungerla nel momento di arrivo delle uve in cantina significa invece considerare “indesiderati” i lieviti indigeni presenti sulla buccia del frutto, necessari invece per produrre un vino realmente sincero e territoriale.

A nostro avviso, meno solforosa c’è nel vino, meglio è per la salute del consumatore, per la qualità e tipicità del prodotto, a patto che a guidare la produzione ci sia uno staff “con il manico”.

Monitoriamo dunque la presenza dei solfiti, ma non facciamone un’ossessione.

E’ sempre la quantità a fare il veleno.

BERE IN MANIERA SANA E’ POSSIBILE, e i fattori da considerare non sono solo legati alla solfitazione. La gestione della vigna, del terreno e di tutte le variabili possono influire anche in modo più sensibile sul prodotto.

Ne parleremo nei prossimi articoli.

Ciò che importa sapere è che le cantine che scegliamo per voi, sia per il vino sfuso che per quello “etichettato” (a prescindere dalle certificazioni a lotta integrata, biodinamiche, naturali, biologiche etc) lavorano con una quantità di solfiti ampiamente al di sotto delle regolamentazioni previste dalla normativa, fino ad arrivare anche a prodotti “senza solfiti aggiunti”, con una quantità minore o uguale 10 mg/l.

Alla salute!

Turàs – Cantina Liquida